sabato 8 settembre 2012

Perché l'Averno fa eccezione ?


Per prima Cerere smosse col vomere dell'aratro le zolle, per prima diede in coltura alla terra messi e frutti, per prima diede leggi: a Cerere dobbiamo tutto.
Lei devo cantare; volesse almeno il cielo che potessi dedicare versi degni a una dea così degna di un carme.
Immensa sulle membra di un gigante si distende l'isola di Trinacria: sotto il suo enorme peso tiene schiacciato Tifeo, che aveva osato aspirare alle sedi dei celesti.
Lui, è vero, si agita dibattendosi per rialzarsi, ma sopra la sua mano destra sta Peloro, vicino all'Ausonia, sopra la sinistra tu, Pachino; Lilibeo gli preme le gambe, sopra il capo gli grava l'Etna; e Tifeo riverso sul fondo dalla bocca inferocito erutta lava e vomita fiamme.
Spesso si sforza di rimuovere la crosta che l'opprime e di scrollarsi di dosso città e montagne:
allora trema la terra e persino il re dei morti teme che il suolo si squarci, che una voragine ne riveli i segreti e che la luce irrompendo semini tra le ombre terrore e caos.
Proprio temendo queste calamità il sovrano era uscito dal regno delle tenebre e su un cocchio aggiogato a neri cavalli percorreva la Sicilia per saggiarne le fondamenta.
Convinto ormai che nessun luogo vacillava, si tranquillizzò, quando in questo suo vagare dal monte Erice, dove viveva, lo vide Venere che, stretto a sé il suo figliolo alato, disse:
“Armi e braccio mio, tu, figliolo, tu che incarni il mio potere, prendi quell'arco con cui vinci tutti, mio Cupido, e scaglia le tue frecce folgoranti in petto al dio, che l'ultimo dei tre regni ha avuto in sorte.
Alla tua mercé tu sai ridurre i celesti, Giove stesso, le divinità del mare e persino chi su loro regna:
perché l'Averno fa eccezione? Perché non estendi il tuo dominio e quello di tua madre ?

(Ovidio, Metamorfosi, Libro V versi 241 e segg.)





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